L’automotive nel Paese del Dragone Rosso viaggia su numeri strabilianti e in crescita, ma qualcosa sta cambiando a causa delle nuove disposizioni sull’export.
Nelle scorse settimane abbiamo, su più fronti, analizzato la crisi delle aziende europee alla luce delle normative e dell’espansione del mercato cinese nel settore dell’automotive con un eco importante in termini di crisi per le Case costruttrici come il Gruppo Stellantis, ma non solo. La Cina al centro dei Saloni internazionali dell’auto, con i suoi brand che vanno per la maggiore, ma soprattutto l’aumento del numero di esportazioni in Europa, ma qualcosa a causa delle nuove disposizioni sull’export sta cambiando, e questa novità ci sorprende e non poco.

La Cina rafforza i suoi controlli sulle esportazioni e sempre più aziende europee – incluse quelle dell’automobile – iniziano a ripensare la propria catena di fornitura. Ciò potrebbe mutare gli scenari, infatti, dati alla mano circa il 40% delle aziende segnala ritardi nelle autorizzazioni all’export oltre i tempi previsti per legge e quasi il 70% dipende da componenti cinesi soggetti a controlli. Il settore dell’automotive è quello più interessato, e l’Europa tutta paga dazio è il caso di dire. Il Vecchio Continente si è trovato schiacciato in una morsa tra gli Stati Uniti e la Cina.
Problema export per i marchi cinesi
Da una parte le politiche commerciali di Trump fortemente pregiudizievoli, dall’altra la Cina che fa il mercato con investimenti sull’elettrico e con una capacità di aver creato negli ultimi dieci anni un’industria dell’automobile forte del know-how europeo, e di investimenti che hanno creato un gap con la nostra industria che a stento sopravvive o vende pezzi della sua storia.

La Cina compra e l’Italia vende, storici marchi italiani sono stati ceduti ed in certi casi svenduti, e riconvertiti sul piano industriale con politiche aziendali vicine al principio della domanda, forti delle simpatie delle normative europee sulla sostenibilità ecologica. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina vede al momento un solo soccombente: l’Europa e la sua industria.





