Quanta CO2 si risparmia (davvero) con un’auto elettrica?

Ci si interroga molto sull’impatto dei veicoli elettrici in termini di emissioni di CO2. Sono sempre di più le aziende e gli esperti del settore a chiedere che tra i criteri normativi determinanti per l’impronta di carbonio venga inserito tutto il ciclo di vita delle BEV. 

Le aziende stanno facendo il passo più lungo della gamba

È Carlos Tavares, numero uno di Stellantis, tra i sostenitori di un nuovo paradigma di calcolo. A Financial Times, Tavares ipotizza che vi sia troppo entusiasmo per i motori elettrici, senza i sufficienti dati riguardo le amissioni. I governi, dice, stanno investendo nelle nuove motorizzazioni senza ancora averne compreso l’impatto ambientale reale.

Le emissioni derivanti dalla produzione di batterie, spiega Tavares, sono un handicap importantissimo, tenendo conto anche dell’inquinamento derivante dall’estrazione di litio.

L’Ue spinge la vendita, senza calcolare la CO2 reale

Secondo le normative Ue, i produttori devono vendere un certo numero di auto elettrificate o elettriche (in quantità consistente), per non incorrere in pesanti sanzioni. Senza però tenere conto dell’effettivo impatto ambientale della vettura nel suo completo ciclo di vita, dalle emissioni di produzione fino allo smaltimento delle componenti.

I limiti alla CO2 secondo le normative

Nel 2020 le normative vigenti imponevano una media di emissioni di CO2 limite all’intera flotta di vetture di ogni singola casa automobilistica pari a 95 g/km. Entro il 2025 questa soglia dovrebbe ulteriormente abbassarsi, raggiungendo gli 81 g/km.

Per farlo, i produttori di auto non hanno ridotto le emissioni dei motori a combustione, ma implementato la vendita di mezzi elettrici. In questa mossa di mercato si inseriscono i crescenti dubbi sul merito che le vetture EV possano realmente essere considerate a basse emissioni di carbonio.

Dopo quanti chilometri l’impronta energetica di una BEV diventa vantaggiosa?

Secondo il report prodotto da Polesta, del gruppo Geely Volvo, lo scorso anno, tenendo conto dell’intero ciclo di vita del modello 2, paragonato a una Volvo XC40, il motore elettrico impiegherebbe circa 72 mila kilometri di guida su strada prima di poter essere considerato vantaggioso da un punto di vista di emissioni di CO2.

In uno studio realizzato dal Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Firenze, si legge: “I BEV hanno la potenzialità di ridurre sostanzialmente l’impatto sul cambiamento climatico rispetto agli ICEV. Questo è vero solo se l’elettricità usata per ricaricare l’auto è prodotta da fonti energetiche non fossili. Al contrario, l’uso di vettori energetici fossili per la produzione di elettricità può ridurre fortemente il beneficio ambientale dei BEV e persino portare a un aumento delle emissioni di gas serra. Laddove i BEV evidenziano un impatto maggiore rispetto all’ICEV, la ragione principale di ciò sono i notevoli oneri ambientali della fase di produzione, dovuti principalmente agli impatti tossicologici strettamente legati all’estrazione di metalli preziosi nonché alla produzione di prodotti chimici per la produzione di batterie. Alla luce delle considerazioni precedenti, appare chiaro che la valutazione dei BEV non può essere eseguita utilizzando un singolo indicatore ma dovrebbe essere basata piuttosto su un sistema di valutazione più complesso“. 

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