Ripercorriamo la storia di un’auto d’epoca di un certo livello: la Fiat 600. L’automobile, il televisore, il frigorifero: oggi li diamo per scontati ma, per l’italiano medio del 1955, non lo erano affatto. Eravamo appena all’inizio del boom economico; l’Italia si apprestava a diventare una grande nazione industriale e il benessere arrivò anche da noi, seppure lentamente. A quell’epoca perfino l’automobile diventò un sogno possibile. La vettura che ha realizzato queste aspirazioni è la Fiat 600. Ebbe il merito di trovarsi al posto giusto, al momento giusto, con le caratteristiche giuste. Il suo battesimo avvenne 60 anni fa, il 9 marzo 1955, al salone di Ginevra. Senza mezzi termini, fu l’auto che avviò la motorizzazione di massa dell’Italia.
Le origini
La gestazione della 600 durò circa quattro anni. Fu infatti nel 1951 che il presidente della Fiat, Vittorio Valletta, affidò al team di progettisti guidato da Dante Giacosa il compito di creare l’erede della 500 degli anni ’30, cioè la “Topolino“, da lui stesso progettata. I vincoli erano precisi e stringenti. La nuova utilitaria avrebbe dovuto mantenere gli ingombri della 500 ma ospitare quattro persone abbastanza comodamente, essere economica da produrre e da mantenere, robusta e affidabile, consumare poca benzina. Motore e trazione dovevano andare al posteriore, per ragioni di costi e perché la dirigenza era contraria ad una “tutto avanti”. Comunque si sarebbe dovuto trattare di un’auto innovativa, però era imperativo spendere poco. Un impegno decisamente non facile. Ma Giacosa fu all’altezza della propria reputazione e così nacque la 600.
Razionale
Le linee arrotondate della carrozzeria, per quanto esteticamente indovinate, avevano soprattutto la funzione di risparmiare sulla lamiera. Lo spazio sfruttabile era ampio. Non solo potevano salire quattro persone nonostante la vettura fosse leggermente più corta della Topolino; ma, grazie ai sedili posteriori ribaltabili e sdoppiati, lo spazio di carico diventava decisamente interessante. Era comoda (per i tempi) anche perché le sospensioni erano indipendenti su tutte e quattro le ruote. La scocca portante abbatteva notevolmente i costi di produzione nella nuova linea di montaggio a Mirafiori. Il baricentro basso ne migliorava sensibilmente la tenuta di strada.
Un motore estremamente longevo
Il motore, codice progetto numero 100, venne progettato da Giacosa in soli quattro mesi. Ma nelle sue varie evoluzioni fu utilizzato fino al 1999; riuscì a convivere a lungo perfino accanto al robotizzato e ultramoderno Fire. L’ultimo modello su cui venne montato fu, ovviamente, la Seicento del 1998. Si chiuse il cerchio dopo ben 45 anni, passando da tutte le successive berlinette torinesi: 850, 127, Panda e Uno. Si trattava di un quattro cilindri in linea montato in un basamento monoblocco derivante da un’unica fusione. Anche queste soluzioni contribuirono a ridurre notevolmente i costi di produzione. La testata era in lega d’alluminio; la distribuzione ad 8 valvole, il raffreddamento ad acqua. Sulla Fiat 600 del 1955 la cilindrata era di 633 cc e la potenza di 21 cavalli; bastavano per spingerla fino a 90 Km/h (sull’Autobianchi A112 Abarth del 1975 arrivò a 1.050 cc e 70 cavalli: una scatoletta che volava a 160 Km/h).
Successo immediato e mondiale
Il prezzo di listino iniziale era di 590.000 lire, l’equivalente di circa 15 stipendi di un operaio dell’epoca (oggi, tra evoluzione tecnologica e concorrenza, siamo a circa 10 stipendi per 500 e Punto). Il lavoro, per chi lo aveva, era stabile; il credito più semplice; le cambiali potevano dunque fioccare a tonnellate. Gli italiani non stavano aspettando altro, così le ordinazioni arrivarono copiose. Al punto che la Fiat ebbe sempre molte difficoltà a soddisfare la domanda. La capacità produttiva iniziale fu di 800 unità al giorno. Ma dopo circa un anno, il tempo di attesa per la consegna era ancora di sei mesi, che si allungarono anche ad un anno. E nel corso del tempo, dato anche il successo che di lì a poco avrebbe avuto la Nuova 500, le cose non migliorarono. Il successo della 600 era così ampio, e di portata mondiale, che la dirigenza decise presto di concedere la costruzione su licenza. Spagna, Germania, Belgio, Jugoslavia, Argentina, Cile, Portogallo e Unione Sovietica: tutti questi Paesi produssero localmente una versione più o meno nazionalizzata della 600. Quando la produzione terminò, nel 1969, furono venduti circa 4,9 milioni di esemplari, di cui circa 2,6 in Italia.
La 600 Multipla, la prima monovolume
Nel corso della sua vita produttiva, la Fiat 600 conobbe sei evoluzioni. L’ultima versione, introdotta nel 1965 (già si produceva la sua erede, cioè la 850), aveva perso tutti i fregi e le modanature della capostipite, le portiere non si aprivano più controvento, la cilindrata del motore era salita a 767 cc e la potenza portata a 29 cavalli.
Di tutte le varianti di carrozzeria a cui la 600 si prestò, la Multipla fu quella di maggior successo. Giacosa superò se stesso: aumentando la lunghezza complessiva di circa 30 cm e mantenendo invariato il passo, avanzò il posto guida fino a portarlo esattamente sopra l’assale; in questo modo consentì di creare un piccolo pullmino a quattro porte, capace di trasportare 6 persone o un carico di volume ragguardevole (con il pianale abbattuto si arrivava a due metri di lunghezza utile). Praticamente la prima monovolume della storia. Fu il taxi ideale, al punto di diventarne sinonimo. Entrò sul mercato nel 1956 e uscì di produzione nel 1967.
Anche sportiva, grazie ad AbarthIl progetto di Giacosa era talmente ben riuscito che la 600 destò anche l’interesse dei preparatori per le competizioni. Fu soprattutto Carlo Abarth a realizzare delle versioni spinte particolarmente efficaci, fin dal 1956. Una Abarth 850 vinse nel 1961 la 500 chilometri del Nürburgring. La 600 stradale “truccata” più famosa fu la Fiat-Abarth 850 TC del 1960: cilindrata 847 cc, 52 cavalli, freni anteriori a disco e 140 Km/h di velocità massima.
Il simbolo della rinascita italiana
“Non solo evento tecnico e industriale, ma strumento di una progredita solidarietà sociale“. Così il cronista Aldo Farinelli concludeva il suo articolo sul quotidiano La Stampa del 10 marzo 1955, dedicato alla presentazione ginevrina della 600. Parole profetiche. La Fiat 600 ha costituito il simbolo della rinascita di una nazione. Con questa vetturetta l’Italia si lasciò definitivamente alle spalle il ricordo delle tragedie della seconda guerra mondiale.
Parole di Roberto Speranza